Cittadinanzattiva, studio sull’uso dei farmaci: tra equivalenti, biologici e biosimilari

22.11.2014 19:08

 

“Noi pazienti veniamo poco e male informati su ciò che ci viene somministrato. Non c’è, almeno nel mio caso, un rapporto soddisfacente fra paziente e medico, cosa, a mio avviso, di primaria importanza, che migliora la malattia. A volte, siamo solo numeri e le informazioni relative a nuovi farmaci dobbiamo cercarle da soli su Internet. Siamo “costretti” a subire e ringraziare il cielo se ci curano, se pur in condizioni assurde, su barelle improvvisate, in mezzo al caos, dimenticando che siamo “ammalati” e come tali, abbiamo il diritto della privacy e dell’assistenza in modo civile”. Questa è sola una delle riflessioni che chiudono il rapporto di Cittadinanzattiva sulla relazione tra farmaci e pazienti con patologie croniche, presentato questa mattina.

L’identik che emerge dall’indagine evidenzia i pazienti non sempre seguono la terapia prescritta alla perfezione, tendono a non fidarsi troppo dei farmaci equivalenti e non hanno ancora le idee chiare sui prodotti farmaceutici biologici e biosimilari. Nello specifico, il 22% dichiara di aver interrotto la terapia per motivi non dipendenti direttamente dalla propria volontà: il 22,6% di essi infatti lo ha fatto perché si sono presentate reazioni allergiche, il 20,4% perché la cura si è dimostrata inefficace.

In molti casi, sull’assunzione corretta dei farmaci da parte dei pazienti incide profondamente il rapporto con il medico: nel 32,2% dei casi, le informazioni fornite dal prescrittore del farmaco non sono state considerate soddisfacenti. Fa riflettere infine il dato relativo a quanti dichiarano di non seguire pedissequamente la prescrizione medica perché il farmaco è troppo costoso (16,4%) o perché difficile da reperire in farmacia (14,5%). Per ovviare all’“inconveniente” dei costi troppo alti esiste la possibilità di ricorre ai farmaci equivalenti: il 30% del campione sa di cosa si tratta e sa riconoscerli ma li considera meno efficaci dei farmaci “brand”.

Ne consegue che il 47,4% dei pazienti non cambierebbe la terapia con una equivalente. Sulla conoscenza dei farmaci biologici (chiamati così perché mimano sostanze presenti nell’organismo, ma sono prodotti in laboratorio) e dei farmaci biosimilari (ossia una versione “alternativa” di un farmaco biologico già autorizzato per uso clinico- detto “farmaco originatore”- al quale sia analogo per caratteristiche fisico-chimiche, efficacia clinica e sicurezza sulla base di studi di confronto) le percentuali dicono che il 30% sa come definire un biologico (fonte biologica, alto costo, fornito solo dagli ospedali), mentre il più del 41% non sa cosa sia un biosimilare.

“Dalla nostra analisi emergono alcuni punti chiave su cui soffermare l’attenzione”, spiega Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato, “per prima cosa la non aderenza del paziente alla terapia prescritta, frutto, probabilmente, di una comunicazione poco efficace tra medico e malato che vuole essere informato su tutto ciò che lo riguarda in termini precisi e chiari”. Altro aspetto segnalato riguarda i costi della cura (sia in termini diretti- ticket, farmaci, analisi, ecc.- sia in termini indiretti- tempo, permessi da lavoro) e il budget stanziato dalla sanità pubblica per la spesa farmaceutica che subisce da anni forti contrazioni, con una riduzione dei tetti di spesa che passa dal 16,8% del 2008 al 14,85% del 2013. “Le associazioni dei cittadini e dei malati”, Conclude quindi Aceti, “chiedono di poter prendere parte ai processi decisionali e di governance che riguardano l’assistenza farmaceutica pubblica, in qualità di rappresentanti della società civile sulla quale ricadono le decisioni prese”.

di Elena Leoparco